La Voce

Vi ho visto, eravate lì, dietro le sbarre, nella gabbia. Come le bestie, peggio delle bestie.

Mi guardavate. Io, il vostro nemico, e voi, i miei nemici.


La gente intorno, tanta gente, assiepata nella zona del pubblico, a seguire l’evento. Non respiro e mi volto, vedo una mia amica, mi calmo. Persone vestite togate di nero, con i colletti bianchissimi, inamidati, lindi nella loro purezza, ed erano quattro, due per parte.

L’accusa e la difesa. Il bianco e il nero.

Muove il bianco, muove sempre per primo e apre di pedone, con un sussurro appena percettibile.


Un po’ più di voce, se riesce”, mi incita il gentile signore al
centro dell’enorme scranno ovale. Mi dà del lei, ma io sono appena più che un bambino. Ma la voce non c’è, soffocata nell’ansia e nella paura. Potrebbe essere un interrogatorio o un colloquio di lavoro, o una riunione particolarmente importante.

La voce va e viene e le persone sedute intorno al gentile signore mi guardano con occhi di partecipazione, non si commuovono perché ne hanno sentite tante, troppe, e troppo brutte. Ma li vedo partecipi del mio
panico.

La voce si alza, incomincia ad elencare orari, fatti, parole dette e sentite. Con precisione, chiarezza. Dura e tagliente, spietata e affilata come un rasoio non dimentica nulla. La voce continua, parla dei calci e dei pugni che ha ricevuto, degli insulti, del cibo sputatogli in faccia, spalmatogli addosso. Lo schifo.

Con la rabbia che aumenta ad ogni parola, ad ogni sillaba sale in modo esponenziale, senza limiti, senza più freni travolge tutto e tutti.


Poi la voce si spezza, compare una
pistola carica e con colpo in canna, puntata alla mia tempia. E’ un'automatica, nelle mani di una mano tremante, troppo tremante. La mano di un drogato di eroina in crisi di astinenza non è mai molto ferma. C'è anche un coltello affilato, premuto sulla mia gola, un rivolo di sangue mi scorre sotto il mento e poi giù sul petto. Lo sento scorrere caldo e vischioso.

Un’altra voce al di là della cornetta, rassicurante come quella del signore gentile al centro dello scranno, in un istante preoccupata, ma poi ritorna normale, rassicurata dalle mie parole.

Click!

E poi…e poi la voce si rompe.

Un filo molto lungo, decine di metri di filo per tende, filo in nylon, quello che ti sega la carne in profondità, quello che brucia e ti lascia le cicatrici.

Per sempre. E che per sempre ti lega ad una sedia.

E poi la voce prende forza, ancora una volta, ed è l’ultima, e chiede aiuto. Al telefono.

E, infine, quasi con dolcezza, la voce si riduce ad un sussurro e un secondo prima di spegnersi del tutto, vi dice forte e chiaro: scacco matto, e vaffanculo.

E ve lo dice
Con Tutto il Cuore.

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