
Mi chiedo perché.
Poi provo a rompere il monologo con una domanda: "Hai visto la conferenza stampa di Bush in Iraq? Ha schivato la scarpa alla grande, dev'essere abituato a gente che gli tira addosso di tutto..." Lo guardo regalandogli un sorriso di incitamento. Ricambia il sorriso, come si fa con passante un po' svitato, e riattacca con il suo monologo.
"Quarto piano" dice il paziente al citofono. Poi, abbassando la voce quasi a scusarsi, aggiunge "l'ascensore funziona con la chiave, ma io non ce l'ho." Il medico smoccola senza preoccuparsi di essere sentito. Dietro il portone si nasconde un dedalo di cortili, scale e ballatoi così lontano dalla Milano da Bere che conosciamo. Eppure così vicino. Metto un piede in una pozza lurida e unta e ci affondo fino alla caviglia. Puzza di cibo marcio.
Mi chiedo perché.
Ci apre una donna, bruttina, capelli unti, tuta di felpa e calzettoni. La casa è lunga e stretta, pulita e piena di roba. Fa un caldo soffocante, nonostante fuori ci siano solo un paio di gradi. "E' là in fondo" ci indica lasciandoci passare. Sul divano un bambino ci guarda spaventato con gli occhi enormi sul viso scuro e magro. Vorrei aprire la finestra per fare entrare un po' di aria fresca, ma non la trovo da nessuna parte. Il medico si inginocchia, gentile e premuroso. Alle mie spalle la donna sospira di sollievo e adesso un sorriso d'amore la fa sembrare quasi bella.
Mi ricordo il perché. Me lo ricordo con tutto il cuore.

2 commenti:
M'è venuta tanta tristezza a leggere questo post...per la storia che racconti, intendo.
Ciao Annachiara. Purtroppo di storie come questa qualunque volontario ne potrebbe raccontare a vagonate. Ma in fondo sono storie di speranza. La speranza che mettendosi in gioco qualcosa si possa fare per cambiare questo mondo.
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