La Testa che Va Giù

“Sento che sto morendo, non respiro”.
“Ma no che dici”, risponde la mamma sorridendo. La tata è lì sul divano, accasciata e con la testa reclinata all’indietro.

Batto le mani sulle ginocchia e rido, come se avessi appena sentito una battuta divertente, uno scherzo, una barzelletta forse. Ho una maglietta bianca e i pantaloncini corti a righe bianche e azzurre, è estate, fa caldo, troppo caldo, davvero non si respira.

Il respiro diventa corto, sempre più corto. La tata si porta una mano al petto, impallidisce sempre di più.

Entra nel soggiorno il dottore, l’avevamo chiamato pochi minuti prima. In paese si fa in fretta a percorrere tre chilometri, nella vita si fa in fretta a percorrere il percorso, e arrivare alla fine.

Una sola occhiata. “All’ospedale, subito”.
Portiamo la tata in macchina, ho paura di essere lasciato solo, escono i vicini, mi dicono: “Stai con noi, non preoccuparti”. Faccio i capricci e piango, ho sette anni, no non voglio rimanere a casa, perdiamo tempo prezioso, pochi minuti in inutili discussioni, tempo che scorre via dalla vita, tempo andato.

Caricano in macchina anche a me, lo fanno di forza e di peso e di rabbia come qualcuno che non si vuole portare ad una festa.

Sono seduto di fianco al dottore, in una vecchia A112 blu. Dietro, una seconda macchina.
Poche centinaia di metri giù dalla nostra discesa al massimo della velocità, imbocchiamo la via principale del paese per uscirne e andare a Varese, all’ospedale, verso la salvezza.
E poi il dottore rallenta un po’, rallenta ancora di più, guarda nello specchietto retrovisore e si ferma.


Lo guardo in modo interrogativo, vorrei urlargli: “ma che cazzo fai”?

Capisco e mi volto di scatto, osservo incredulo la testa della tata che va giù e giù, poi ancora più giù, fino a fermarsi contro il petto della mamma.
Siamo fermi, i motori si spengono, dai finestrini entra il caldo e il freddo. Vedo che dalla casa davanti a cui siamo immobili esce un’amica di famiglia, mi guarda, la guardo. Capisce tutto, con uno sguardo.

Il tempo è finito.
Con i fotogrammi al rallentatore della testa che va giù.

2 commenti:

Annachiara ha detto...

A me è successo a nove anni 1di guardare la morte portarsi via una persona che amavo.
E ce l'ho ancora negli occhi, quell'alito di vento.

Nasdaq 3X ha detto...

Sono esperienze che lasciano il segno, anche se lontane nel tempo, quell'alito ogni tanto lo senti, e fa ancora male.

ciao